Biography of Ferdinando III
FERDINANDO III di Asburgo Lorena, granduca di Toscana. - Nacque a Firenze, il 6 maggio 1769, secondogenito maschio di Pietro Leopoldo, granduca di Toscana e di Maria Luisa di Borbone, figlia di Carlo III di Spagna.
Nella sua educazione, come in quella del fratello primogenito Francesco, destinato a succedere nei domini della Corona austriaca, pesarono le scelte della nonna Maria Teresa e dello zio, l'imperatore Giuseppe II. Quale aio dei due giovani venne così inviato in Toscana da Vienna il conte Franz de Paula von Colloredo, affiancato dall'ex gesuita conte Sigismund von Hohenwart e dal marchese rodigino Federigo Manfredini, che ebbe influenza decisiva sulla formazione di F. e, poi, sulle sue decisioni politiche. Fu però lo stesso Pietro Leopoldo a stabilire minuziosamente non solo rigorosi piani di studio, ma anche i criteri schiettamente illuministici e non privi, addirittura, d'influssi rousseauiani ai quali dovevano attenersi gli educatori: "I principi occorre siano sempre ben consapevoli che la loro posizione la devono solo ad un accordo raggiunto fra altri uomini e che essi, per parte loro, hanno l'obbligo di assolvere tutti i loro compiti e i loro doveri, ciò che gli altri uomini si attendono a buon diritto da loro, in virtù dei privilegi che ad essi hanno concessi".
La sorte di F., che era destinato a continuare la secondogenitura asburgica in Toscana, sembrò dover mutare radicalmente, quando, nel 1784, Giuseppe Il elaborò un progetto di sistemazione politico-territoriale in cui era coinvolto anche il Granducato. La Toscana avrebbe perduto la propria autonomia, per diventare una provincia austriaca di cui il principe sarebbe stato soltanto governatore. Mentre Francesco partiva per Vienna, per completarvi la sua educazione, F. resto a Firenze, sotto la guida del Manfredini. Ma la morte prematura dell'imperatore, nel 1790, rimise in giuoco le sorti della Toscana. Pietro Leopoldo successe sul trono imperiale e, ben convinto dei vantaggi che la Toscana avrebbe avuto come Stato indipendente, non si attenne al piano del fratello e mantenne la secondogenitura toscana. Costituito un Consiglio di reggenza per il Granducato, in attesa della sua decisione, partì per Vienna il 1º marzo, dove fu seguito, poco dopo, da Ferdinando. Questi, il 19 settembre, sposò a Vienna la cugina Luisa, figlia di Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, e di Maria Carolina d'Asburgo Lorena. Frattanto, il 21 luglio, Pietro Leopoldo aveva rinunziato alla sovranità toscana in suo favore; mentre lo stesso giorno anche Francesco accettava l'atto di cessione e abdicazione del padre, rinunciando e abdicando anche per sé ed i propri eredi. Il 22 febbr. 1791 il nuovo sovrano poté così incaricare il presidente del Consiglio di reggenza, Antonio Serristori, di prendere possesso del Granducato in suo nome.
Questo ritardo era stato causato da una grave crisi verificatasi subito dopo la partenza di Pietro Leopoldo e del figlio. Lasciando la Toscana, egli aveva impartito istruzioni categoriche di salvaguardare le riforme operate, soprattutto quelle di carattere ecclesiastico ed economico, già divenute un esempio per le tendenze riformatrici europee e così acclamate dalla cultura illuministica. Ma solo un mese dopo il malcontento popolare suscitato dalla sua politica giurisdizionalistica e dall'appoggio fornito ai giansenisti si manifestò in varie località, anche per la sobillazione degli elementi più retrivi del clero, degenerando in tumulti. Altrove, come a Livorno, a queste proteste si unirono le reazioni contro i provvedimenti liberistici relativi al commercio dei grani, considerati la causa principale del carovita. E tali reazioni furono poi particolarmente violente a Firenze, ove, ai primi di giugno, accaddero incidenti di notevole gravità, repressi a fatica dalla autorità e dalle scarse forze a loro disposizione. Ciò fornì alla reggenza l'occasione per trasgredire alle disposizioni di Pietro Leopoldo e revocare la libertà di commercio frumentario, vietando l'esportazione di grani, biade e oli. Furono inoltre autorizzate varie pratiche di culto e di disciplina ecclesiastica già abolite. La reazione dell'imperatore fu molto decisa: in un dispaccio del 17 giugno condannò l'operato della reggenza che, piegandosi a ribellioni fomentate dagli avversari delle riforme, aveva rovesciato "in pochi giorni tutti i sistemi di governo da lui in tanti anni di tempo e fatiche introdotti e con tanto buon successo stabiliti in vantaggio del pubblico" e riportato la Toscana "in mano agli ecclesiastici ed al fanatismo". Vietò qualsiasi concessione; e mentre disponeva pesanti sanzioni per i colpevoli dei tumulti e ordinava il ripristino della pena di morte per i sobillatori, scriveva di ritenere del tutto inopportuno l'invio in Toscana di un rappresentante della propria famiglia, prima che fosse ristabilita "la disciplina, il buon ordine e tutto come prima". Poi, con un dispaccio dell'8 ott. 1790, ordinò il ripristino della libertà del commercio frumentario; ma Solo il 27 dicembre il Consiglio di reggenza pubblicò la legge relativa, aggiungendovi dei provvedimenti che, in realtà, ne limitavano la portata.
Nella sua educazione, come in quella del fratello primogenito Francesco, destinato a succedere nei domini della Corona austriaca, pesarono le scelte della nonna Maria Teresa e dello zio, l'imperatore Giuseppe II. Quale aio dei due giovani venne così inviato in Toscana da Vienna il conte Franz de Paula von Colloredo, affiancato dall'ex gesuita conte Sigismund von Hohenwart e dal marchese rodigino Federigo Manfredini, che ebbe influenza decisiva sulla formazione di F. e, poi, sulle sue decisioni politiche. Fu però lo stesso Pietro Leopoldo a stabilire minuziosamente non solo rigorosi piani di studio, ma anche i criteri schiettamente illuministici e non privi, addirittura, d'influssi rousseauiani ai quali dovevano attenersi gli educatori: "I principi occorre siano sempre ben consapevoli che la loro posizione la devono solo ad un accordo raggiunto fra altri uomini e che essi, per parte loro, hanno l'obbligo di assolvere tutti i loro compiti e i loro doveri, ciò che gli altri uomini si attendono a buon diritto da loro, in virtù dei privilegi che ad essi hanno concessi".
La sorte di F., che era destinato a continuare la secondogenitura asburgica in Toscana, sembrò dover mutare radicalmente, quando, nel 1784, Giuseppe Il elaborò un progetto di sistemazione politico-territoriale in cui era coinvolto anche il Granducato. La Toscana avrebbe perduto la propria autonomia, per diventare una provincia austriaca di cui il principe sarebbe stato soltanto governatore. Mentre Francesco partiva per Vienna, per completarvi la sua educazione, F. resto a Firenze, sotto la guida del Manfredini. Ma la morte prematura dell'imperatore, nel 1790, rimise in giuoco le sorti della Toscana. Pietro Leopoldo successe sul trono imperiale e, ben convinto dei vantaggi che la Toscana avrebbe avuto come Stato indipendente, non si attenne al piano del fratello e mantenne la secondogenitura toscana. Costituito un Consiglio di reggenza per il Granducato, in attesa della sua decisione, partì per Vienna il 1º marzo, dove fu seguito, poco dopo, da Ferdinando. Questi, il 19 settembre, sposò a Vienna la cugina Luisa, figlia di Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, e di Maria Carolina d'Asburgo Lorena. Frattanto, il 21 luglio, Pietro Leopoldo aveva rinunziato alla sovranità toscana in suo favore; mentre lo stesso giorno anche Francesco accettava l'atto di cessione e abdicazione del padre, rinunciando e abdicando anche per sé ed i propri eredi. Il 22 febbr. 1791 il nuovo sovrano poté così incaricare il presidente del Consiglio di reggenza, Antonio Serristori, di prendere possesso del Granducato in suo nome.
Questo ritardo era stato causato da una grave crisi verificatasi subito dopo la partenza di Pietro Leopoldo e del figlio. Lasciando la Toscana, egli aveva impartito istruzioni categoriche di salvaguardare le riforme operate, soprattutto quelle di carattere ecclesiastico ed economico, già divenute un esempio per le tendenze riformatrici europee e così acclamate dalla cultura illuministica. Ma solo un mese dopo il malcontento popolare suscitato dalla sua politica giurisdizionalistica e dall'appoggio fornito ai giansenisti si manifestò in varie località, anche per la sobillazione degli elementi più retrivi del clero, degenerando in tumulti. Altrove, come a Livorno, a queste proteste si unirono le reazioni contro i provvedimenti liberistici relativi al commercio dei grani, considerati la causa principale del carovita. E tali reazioni furono poi particolarmente violente a Firenze, ove, ai primi di giugno, accaddero incidenti di notevole gravità, repressi a fatica dalla autorità e dalle scarse forze a loro disposizione. Ciò fornì alla reggenza l'occasione per trasgredire alle disposizioni di Pietro Leopoldo e revocare la libertà di commercio frumentario, vietando l'esportazione di grani, biade e oli. Furono inoltre autorizzate varie pratiche di culto e di disciplina ecclesiastica già abolite. La reazione dell'imperatore fu molto decisa: in un dispaccio del 17 giugno condannò l'operato della reggenza che, piegandosi a ribellioni fomentate dagli avversari delle riforme, aveva rovesciato "in pochi giorni tutti i sistemi di governo da lui in tanti anni di tempo e fatiche introdotti e con tanto buon successo stabiliti in vantaggio del pubblico" e riportato la Toscana "in mano agli ecclesiastici ed al fanatismo". Vietò qualsiasi concessione; e mentre disponeva pesanti sanzioni per i colpevoli dei tumulti e ordinava il ripristino della pena di morte per i sobillatori, scriveva di ritenere del tutto inopportuno l'invio in Toscana di un rappresentante della propria famiglia, prima che fosse ristabilita "la disciplina, il buon ordine e tutto come prima". Poi, con un dispaccio dell'8 ott. 1790, ordinò il ripristino della libertà del commercio frumentario; ma Solo il 27 dicembre il Consiglio di reggenza pubblicò la legge relativa, aggiungendovi dei provvedimenti che, in realtà, ne limitavano la portata.